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lunedì 21 dicembre 2015

Abitare a Roma

Roma è la città delle contraddittorietà.

Ha radici profonde e antiche, ma non riesci a vederne la punta della chioma.

E' il luogo in cui hai la possibilità di conoscere un maggior numero di persone diverse tra loro. E' anche il luogo in cui hai maggiore difficoltà a raggiungerle.

Ha monumenti antichi e pieni di storia, che stanno là, ancora in piedi. Ha edifici recenti che cadono a pezzi.

Ha un cielo magnifico, ma è impossibile da guardare a causa dei palazzi troppo alti.

E' la città degli incontri internazionali. Incontri, tuttavia, che sono destinati a perdersi e a non scoprirne mai la profondità.

E' la città della tradizione, ma della ricerca di innovazione.

E' la città dell'amore libero, tenuto a freno dal Vaticano.

E' la città senza mare, ma abitata da gabbiani.

E' la città della socialità ma anche della diffidenza.

E' la città del caos in costante ricerca di pace.

E' la città della possibilità, dei sogni.
Ma è anche la città delle domande, dei dubbi.

Qualcuno mi noterà in mezzo a tutta questa gente?

Abitare a Roma, è come andare alla tua prima festa. Ve lo ricordate? Entrare nella stanza e accorgersi di non conoscere nessuno. E allora pensare subito: "Perché sono venuto? Chi me lo ha fatto fare?"
Vi avvicinate al primo guppetto e cercate di fare quattro chiacchere. "Bella festa, eh?" ma loro ti ignorano. Ti avvicini al secondo gruppetto e uno dei membri comincia a scambiare quattro chiacchere con te, fino a quando non si volta dall'altra parte e continua a parlare con i suoi amici.
Allora ci riprovi, una terza volta. Ma va a finire nello stesso modo.
E ora? Cosa fare?
Decidi di aspettare la fine della festa. Alla fine, sei venuto proprio per rimanere. Ti metti in un angolo e guardi i tuoi coetanei che si divertono. Nessuno sembra fare caso a te. Nessuno incontra il tuo sguardo. Nemmeno per un attimo.
Ok, ho capito. Adesso basta.
E quindi, stai per mollare. Stai per andartene. Stai per definire la tua prima esperienza un completo fallimento. E poi, una persona che prima non avevi notato dice: "Che schifo di festa."
"Lo penso anche io" commenti automaticamente, rassegnato.
"Perché sei venuto?" ti chiede quella persona sconosciuta.
"Bé, sai..." e allora non hai nulla da perdere. E parli. Parlate. Avete un sacco di cose in comune.
Vi fate una birra. E finalmente cominci a sentirti meno solo.

sabato 14 novembre 2015

13 novembre 2015, Parigi

Immaginate di aprire il frigo, dopo essere tornati da lavoro. A parte una birra e un pezzo di formaggio che sta andando a male, non c'è granché da mettere sotto i denti. Allora, vi girate verso la vostra compagna e chiedete: "Andiamo a mangiare una cosa fuori?"
Lei, entusiasta, cerca di vestirsi in modo carino nel minor tempo possibile. Sono le 8 passate, lo stomaco brontola e già la sua mente comincia a spaziare su cosa potrà ordinare.
Andate al ristorante, ordinate una bottigia di vino, così tanto per cominciare. Cominciate a chiaccherare del più e del meno. "Sai, oggi a lavoro..."
E poi, magari non appena vi portano il caffé, sentite un tonfo, uno sparo, delle urla. Cadete a terra, in uno stato confusionale e di paura e terrore crescente.

Immaginate di avere una bandiera della Francia in mano. Stasera, ci sarà la partita amichevole tra Francia e Germania. Non vi perdete uno scontro. Il calcio è la vostra passione. Prendete posto e cominciate a intonare cori e canti in nome della vostra squadra, della vostra nazione. In quel momento, si annullano tutte le diversità, e tutti i francesi diventano vostri fratelli. Seguite il match con estrema attenzione.
E poi, tre colpi, tre botti. Rimanete impietriti. Cercate di scappare, perché a poco a poco, state realizzando tra le urla cosa sta accadendo. Ma sbarricano tutte le uscite dello stadio e voi rimanete un'ora là dentro, in attesa.

Immaginate di aprire il portafogli, per controllare se i biglietti sono ancora là e intatti. Li avete prenotati un mese fa e siete felici di poter trascorrere la serata nella Sala Concerto. Incontrate davanti al teatro la coppia di amici con cui vi date appuntamento in questo genere di occasioni. Fate la coda in biglietteria, mostrate i biglietti alla maschera. Prendete il vostro posto. Chiacchere e parole sussurrate prima che le luci si abbassino. Penombra e poi buio.
Comincia lo spettacolo, davanti a voi luci e suoni e persone.
E poi sentite un tonfo, uno sparo, delle urla. Cadete a terra, in uno stato confusionale e di paura e terrore crescente. Cercate di scappare. E durante la fuga, vedete persone per terra, zoppicanti che si trascinano e scappano.

Immaginate di correre all'ospedale perché qualcuno a voi vicino è stato ferito. Immaginate di soccorrere qualcuno che sta perdendo molto sangue. Immaginate di piangere una persona che ha appena perso la vita.
Immaginate di trovarvi una pallottola nello stomaco e di realizzare che, di lì a poco, si realizzarà la fine.

Immaginate di non poter più, da questo giorno in poi, camminare serenamente per le strade della vostra città.

giovedì 12 novembre 2015

Sono emancipata, ma non sono libera

Dopo il primo incontro del Laboratorio dei linamenti di Genere, tenutosi dalla professoressa Federica Giardino alla Facoltà di Lettere dell'Università degli Studi di Roma Tre lo scorso venerdì 6 novembre, ho riflettuto molto sui termini Emancipazione/Liberazione. Ho ripensato un po' alla mia esperienza. E riflettendo, mi sono resa conto che, come me, moltissime donne sono arrivate a definirsi Femministe per via pratica più che teorica.

Credo che la prima volta che mi sia voluta emancipare sia stato quando, da bambina, durante i cenoni di Natale a casa dei nonni paterni, gli uomini giocavano a carte in una stanza e le donne in un'altra a tombola.
Credo anche che la prima avversione nei confronti del mio corpo e del mio essere donna sia stato quando mi sono sviluppata e la gente si congratulava con me per qualcosa che era doloroso, fastidioso e aveva fatto cambiare il mio corpo in così poco tempo. Qualcosa, mi dicevano i grandi, che faceva di me una donna adesso. Qualcosa che cominciò a farmi accorgere che i ragazzi erano interessati sessualmente a me.
Credo che il primo impulso di ribellione mi sia venuto quando, mentre guardavo la tv con i miei nonni paterni, dopo aver fatto una domanda sulla politica che non capivo, mio nonno mi rispose: “Sei femmina, queste cose non le puoi sapere.”
Mi rendo conto, comunque, che oggigiorno sono ignorante in termini di politica, non perché non abbia le conoscenze intellettive per comprenderne i significati. Ma perché sono disinformata e la mia disinformazione è frutto dell'educazione che mi è stata imposta dai miei genitori.

Ho vissuto, così, per tanti anni dolorosi, la voglia di soddisfare le aspettative dei miei genitori (essere una brava ragazza, imparare a cucinare e a fare le faccende, imparare a truccarmi e a vestirmi secondo un certo gusto) e la voglia di ribellarmi e staccarmi da quel nucleo familiare che mi schiacciava e mi faceva sentire diversa e colpevole di non essere all'altezza delle loro aspettative.
Sono nata e cresciuta in Toscana, ma l'influenza della mia famiglia, originaria di un piccolo paese del Sud Italia, ha influenzato la mia vita per molto tempo.

La prima volta che mi dichiarai “femminista” fu quando, all'età di 16 anni, mio padre se ne andò di casa. Era stato un padre violento, autoritario e crudele. Era stato un padre che aveva voluto imporre il suo potere sul mio corpo e sulla mia mente. Era stato un padre che mi aveva detto che ero grassa, che ero aggressiva con gli uomini e nessuno mi avrebbe amata, che non sarei stata in grado di studiare in un liceo classico, che ero una troia perché mi truccavo e avevo amici maschi, che sarei stata una nullità e non sarei divenuta nessuno. Il tutto si chiudeva con schiaffi e pugni.
Quando se ne andò, mi sentii finalmente libera di vivere la mia vita senza condizioni e senza influenze negative. Sentii che io, mia madre e le mie sorelle avremmo potuto costruirci un futuro indipendente.
Invece, mia madre cadde ancora di più in depressione e mi disse che una donna aveva bisogno di protezione e cura costante. E fu lì, dopo varie discussioni, che pensai: “Io non ho bisogno di un uomo. Sono femminista.”
Fu un ulteriore gesto di ribellione a quella mentalità che mi voleva necessariamente docile e ferma, che mi voleva mansueta. “Prima o poi incontrerai un uomo che ti calmerà”, mi diceva mia madre.
 Col tempo, comunque, credo di averle dimostrato che ero ben capace di badare a me stessa, di amministrarmi, di vivere la mia vita in modo indimendente e autonomo.

Ho cercato, da quando sono diventata consapevole del fatto che avrei dovuto sgomitare un po' di più per prendere un ruolo definito e soddisfacente all'interno della società, di eliminare la mentalità patriarcale che mi aveva cresciuta ed educata.
Ciò non è voluto dire - come la maggioranza crede erroneamente - che da quel momento in poi mi sarei trasformata in una specie di Medea pronta a vendicarmi in modo assurdo con tutti gli uomini. Ma avrei cercato di costruire, partendo nel mio piccolo mondo, un rapporto di fiducia e rispetto reciproco col sesso opposto, non facendolo sentire in nessun modo inferiore.
E' un passaggio molto difficile e doloroso, perché noi donne siamo tutte rappresentanti di una Medea tradita dal sesso opposto. Giasone, infatti, prima le promette amore eterno e poi la tradisce. Così come gli uomini, promettendoci amore e protezione, in realtà ci rinchiudono in una gabbia di cristallo, togliendoci la capacità di prendere decisioni, di scegliere, di agire.
Non voglio vendicarmi del mio passato doloroso e conflittuale con gli uomini. Non voglio in alcun modo credere che gli uomini non siano in grado di comprendere e di amare. Non voglio nemmeno più essere avversa a quelle donne che, credendosi emancipate, in realtà sono soltanto il gioco e lo strumento di certi uomini.

E' per questo che mi devo promettere uno sforzo in più. Perché nonostante io mi ritenga emancipata, non sono ancora del tutto libera: infatti cerco ancora di soddisfare le esigenze di chi mi vorrebbe composta e carina. Sono emancipata, ma non sono libera.
E non lo sono nemmeno quelle donne avverse in modo ossessivo e aggressivo nei confronti degli uomini, perché, cercando di imitarli e di essere come loro, rinnegano loro stesse.

lunedì 13 luglio 2015

Ho scelto

Ho scelto.
Ho scelto di seguire il mio cuore e il mio istinto.
Ho scelto di alzare la testa e amare me stessa.
Ho scelto di fasciarmi ogni ferita, così da risultare invisibile agli altri.
Ho scelto di non smettere mai di sorridere.
Ho scelto di guardare avanti a me, verso gli obbiettivi prefissati.
Ho scelto di aprire il mio cassetto dei sogni, perché non potevano stare ancora rinchiusi.
Ho scelto di vederli volare e danzare attorno a me - luccichio dei miei occhi.
Ho scelto di sbagliare.
Ho scelto di provare a inseguire più strade, per capire cosa volessi davvero, anche se questo è potuto sembrare sciocco e contraddittorio.
Ho scelto di aprire il mio cuore e di amare.
Ho scelto di fidarmi.
Ho scelto di essere ferita, perché magari la mia decisione si è rivelata erronea.
Ho scelto di vivere secondo le mie aspettative e i miei progetti.
Ho scelto di camminare e di respirare e di vedere e di toccare e sentire...

Io ho scelto.

E non mi importa di essere stata capita. Ora, finalmente, non mi importa della compressione e compassione degli altri. Non mi importa.
Perché io ho capito. Ho capito chi sono, cosa voglio. Ho capito che la bellezza, la bellezza della vita, del sole, delle stelle, si comprende e si assapora dopo aver sofferto, dopo un lunghissimo e freddissimo inverno, dopo una giornata tempestosa, dopo aver fatto delle scelte.

E io ho scelto.
Ho scelto di vivere.



lunedì 29 giugno 2015

Cosa rimarrà di questi giorni?

Cosa rimarrà di questi giorni?
Cosa rimarrà dei nostri capelli lunghi, scuri e forti?
Cosa rimarrà dei nostri occhi vivaci e curiosi?
Cosa rimarrà della nostra pelle liscia e soffice?
Cosa rimmarà dei nostri sorrisi e delle risate a crepapelle, fino a piangere e a sentire dolore allo stomaco?
Cosa rimarrà delle serate insonni a ballare, a parlare, a piangere...?
Cosa rimarrà delle persone che ci hanno stretto la mano?
Cosa rimarrà delle persone che ci hanno ascoltato?
Cosa rimarrà delle persone che hanno condiviso la nostra intimità?
Cosa rimarrà della spensieratezza?
Cosa rimarrà delle corse contro il tempo?
Cosa rimarrà di tutti i sacrifici per rimanere a galla, per avere un buon futuro?
Cosa rimarrà di amicizie create e sciolte in un abbraccio?
Cosa rimarrà di amori finiti con un grande pianto?

Se potessi, ritornerei nei miei luoghi e darei un caloroso abbraccio a chi, anche solo per un minuto, ha visto nei miei occhi qualcosa che non poteva essere detto, qualcosa che stavo cercando di celare e invece è emerso.
Se potessi, riprenderei i contatti con tutte quelle persone che hanno potuto sfiorare per un attimo questo cuore...
Se potessi...

L'importanza di qualcuno o qualcosa si avverte nel momento che non c'è più, perché lascia come un aurea intorno a te, nei posti che ha toccato. Lascia un segno tangibile dentro, nel profondo.
Ti lascia un suo modo di fare o di dire che tu ripeterai all'infinito. E' un'orma, una traccia indelebile.

Cosa rimarrà della nostra giovinezza una volta che saremmo diventati vecchi? Una volta che avremmo smesso di correre?

Forse guarderemo solo il cielo, in una calda mattinata d'estate, mentre il mondo lentamente sbadiglia e apre gli occhi. Forse guarderemo la cupola azzurra e limpida e ci lasceremo inondare i polmoni da una sensazione di assoluta calma...

E vivremo ancora persone e luoghi. 
Chiudendo gli occhi.


sabato 18 aprile 2015

Cosa è femminile e cosa è maschile?

Chi l'ha stabilito cosa è femminile e cosa è maschile?
La risposta più comune a questa domanda è: "La natura." La natura, quindi, ci avrebbe fatto così e noi avremmo già fin dalla nascita la propensione a scegliere una cosa da femmina o una cosa da maschio. Quindi tutte le ragazze amano truccarsi, curarsi, vestirsi per bene, mettersi i tacchi, fare shopping e sanno cucinare. A tutti i ragazzi, invece, piacciono le cose semplici, minimali, sono una schiappa con le faccende domestiche e amano il calcio e i vari sport.

Chi decide davvero cosa è femminile e cosa è maschile?
Fin dalla nascita c'è una distinzione di genere: ai maschietti il fiocchetto azzurro sulla porta e una cameretta tutto in cordinato, mentre alla femminuccia tutto in rosa. Da notare anche che l'azzurro è un colore freddo e quindi dovrebbe rappresentare le attidudini caratteriali maschili (freddezza, razionalità, sangue freddo), mentre il rosa rientra nella sfera dei colori caldi (e quindi irrazionalità, istinto, amore ecc).
Dalla nascita, ci troviamo di fronte una distinzione netta su ciò che è maschile e femminile.

"Bé, è naturale." mi potreste dire voi. "Alle bambine piace giocare con le bambole."
Bè, vi dico io, non è affatto vero. Io da bambina giocavo con le bambole perché me le regalavano, perché i miei genitori mi dicevano che erano quelli i giochi con cui dovevo giocare. Quindi non facevo storie e obbedivo e basta. Tuttavia, mi divertivo a giocare con le macchinine che i miei cugini più grandi mi regalarono. E ricordo un episodio dell'asilo in cui io volevo giocare con i maschietti al castello dei mostri.

Tutt'oggi, mi sento dire: "La fai la pedicure? La fai la manicure? Tesoro, hai bisogno di una pulizia del viso. Hai fatto shopping?" E quando rispondo che a me di queste cose me ne frega il giusto e l'onesto, spesso vengo ripresa con: "Ma che donna sei?"
Bè, se posso, voglio dire la mia.
Sono una donna che ama correre e fare lunghe passeggiate - sotto la pioggia, sotto il sole, al chiaro di luna. Sono una donna che ama mangiare e assaggiare cibi nuovi. Sono una donna che ama conoscere persone nuove e farsi quattro chiacchere in compagnia. Sono una donna che ama prendere una birra con gli amici e ridere tutta la sera, anche fino all'alba. Sono una donna che si sveglia presto d'estate perché adora l'aria fresca che vi si respira di mattina. Sono una donna che ama leggere e che talvolta si addormenta abbracciando un volume. Sono una donna che ama cucinare e inventare cose nuove. Sono una donna che odia le pulizie, e quando viene rimproverata per i disordine, risponde: "Voi non capite, è l'ordine dell'artista questo." Sono una donna che piagnucola come una bambina quando si sente giù, ma che prende in mano la situazione quando ce n'è bisogno. Sono una donna che adora gli animali e che si rotolerebbe nel fango con i cani tutto il giorno. Sono una donna che adora osservare i mutamenti del cielo. Sono una donna che non ha paura di camminare da sola la notte. Sono una donna che corre quando c'è qualche amico che ha bisogno. Sono una donna che ama e dà se stessa agli altri. Sono una donna che ha fame del mondo e vuole viaggiare e conoscere cose nuove.

Ognuno di noi, uomo e donna, è un essere unico e irripetibile. Ognuno di noi ha delle caratteristiche che altri non hanno. Sono stufa dell'esistenza di queste due macrocategorie (femmina e maschio), che dovrebbe attenersi solo ai nostri apparati riproduttori e non al nostro carattere o attitudine. Siamo persone, prima di tutto.
Non nascondetevi per adattarvi alla società. Non uccidetevi, pensando che gli altri non vi accetteranno mai. Non buttatevi via. Tenete con voi la parte più vera che c'è. Mostratela al mondo. E solo chi saprà guardarvi senza la mascherà della consuetudine, abbraccerà il vostro modo di essere.
Siate voi stessi. Sempre.

E voi? Che uomini e che donne siete?


martedì 24 marzo 2015

Cos'è l'Uomo?

Quando ero studentessa del liceo della mia città, spesso e volentieri, quando conoscevo persone nuove e venivano a sapere dei miei studi, mi domandavano: "A cosa serve oggi studiare la letteratura? A cosa serve studiare latino e greco? A cosa serve la filosofia? Oggi serve la tecnica, la chimica, c'è il progresso nella scienza."
Io allora non sapevo dare molte risposte. A volte rispondevo solo: "Io non userò mai i logaritmi o gli integrali per fare il calcolo della spesa, eppure studio comunque la matematica." Ma la mia obbiezione, in confronto alla loro, era poco convincente.
All'epoca sapevo solo che studiare in un liceo classico non era certo una passeggiata. Ricordo che ogni giorno stavo dalle 4 alle 8 ore sui libri, con la testa china. Ogni tanto guardavo fuori dalla finestra e desideravo solo andarmene a vivere come tutti gli altri adolescenti della mia età.
Sono stati anni sofferti e duri, in quella scuola che chiedeva tanto. C'erano tante cose da imparare a memoria, molte altre da sapere, molte da capire e apprendere.

Poi c'è stata come una scintilla. All'improvviso capivo il motivo di tutto quel studiare. Successe più o meno durante gli ultimi tre anni, quando il programma scolastico prevede, appunto, lo studio della Letteratura Greca e Latina, della Biologia, della Chimica e della Fisica, della Filosofia. Perché in un liceo classico era essenziale la mescolanza di materie umanistiche e scientifiche?
Per una migliore comprensione di che cos'è l'uomo.
Cos'è l'uomo se non l'insieme di Pensiero, Ragione, Istinto, Studio e Tecnica? Studiare la Storia, la Letteratura e tutto il resto equivaleva a studiare ciò che noi come essere umano eravamo stati nel passato. Era necessario non tanto comprendere i periodi definiti (come l'Illumismo o il periodo della Grecia Classica o il Medioevo), ma quanto il passaggio, la sfumatura da un passaggio all'altro.
Quando, poi, studiai l'origine del teatro greco, allora capii che tutto ciò che ci circonda è espressione di ciò che l'Uomo è ed è sempre stato.

Ad oggi, sono molto delusa dal sistema scolastico. Ad oggi, sono molto delusa da chi ha le redini dell'Istruzione, dal Governo, dagli insegnanti. Molti di tutti questi uomini e di queste donne non hanno compreso per nulla il significato dello Studio, della Cultura.
Sento solo parlare di genitori che si lamentano con i professori che i loro bambini hanno TROPPO da studiare e che quello che fanno è TROPPO difficile. Sento parlare di insegnanti che non svolgono al meglio la loro professione. Sento parlare di politici che vogliono riformare la scuola rendendola inutile e ridondante.
Davvero vogliamo vivere in un mondo dove ci spiattellano tutto su un vassoio d'argento? Davvero consideriamo i nostri figli così stupidi da non riuscire a comprendere le cose più complicate?
Ricordo che mia madre, quando vedeva i miei libri e i miei programmi scolastici, diceva: "Oh mamma, quante cose. Mettiti sotto e piano piano vedi che ce la fai."
Non mi ha mai detto che avrebbe parlato con i professori per far diminuire i compiti a casa, ma esclamava: "Questo è. Fallo."
E ora, dopo aver preso una laurea triennale, non solo ringrazio la scelta da me fatta a quattordici anni, ma ringrazio mia mamma per non avermi permesso di darmi scuse, i miei professori che mi hanno tartassata e massacrata. Perché l'università è stata quasi una passeggiata. Perché adesso, per me, apprendere qualcosa e farlo mio è facile, quasi un gioco.

Allora mi chiedo: davvero vogliamo vivere in un mondo dove tutto può apparire in modo semplicistico e leggero? Dove non c'è pensiero e profondità? Davvero vogliamo essere "vuoti" e "ingoranti" e farci ripempire da pensieri e congetture che ci vengono trasmesse in modo massiccio e invadente dai mass media? Davvero vogliamo essere trascinati da chi ha una dialettica migliore senza aver già costruito un nostro pensiero sulla vita, sul mondo?

Voglio vivere in un mondo dove l'apprendimento sia necessario per la formazione intellettuale, culturale e sociale dell'uomo.

mercoledì 18 marzo 2015

I died so many times

I died so many times
because of love.

I died so many times...

I was killed by so many people...
I don't have any idea
of how many they are.

There are many parts of me
they killed.
So many parts are born.

Tell me if life is so rude.
I can't suffer anymore...

The moon is so far
and I'm so lonely.

Is there someone for me?
Someone to love, to be loved.

I fixed myself, again.

I will fly again. 
I died so many times.

(Gothenburg, agosto 2014)



And I'm flying...
with you.

domenica 22 febbraio 2015

Ora, adesso...

Cosa ho tra le mani adesso?

Il vento sta soffiando. Con esso si porta molecole d'acqua che si aggregano e diventano onde. Rumorosamente si rompono su se stesse, formando ampie vele blu.

Ho le ginocchia bagnate e sporche di sabbia. Piccoli granelli bagnati mi pungono l'epidermide, ferendomi. Atomi di sale mi feriscono le narici e scendono come spilli, fino ai polmoni.

Dove sono?
Cosa sono?
Dove sto andando?

Sono arrivata qua, ad occhi chiusi. Ero attratta dall'oblio dei miei sogni. A piedi scalzi ho sentito la morbidezza della sabbia che si espandeva e mi accompagnava il cammino. Appena ho sentito l'acqua bagnarmi, mi sono fermata.

Che fare adesso?
Il mare è grande. E io... io sono così piccola.

Guardo poco più in là. Prima c'era un castello di sabbia. Lo avevo costruito io.
Non è rimasto più niente.

Devo trovare la forza di alzarmi. Devo trovare la forza di raccogliere pezzi di legno e costruire una zattera. Deve essere abbastanza resistente da solcare il mare, da reggere alle tempeste.

Ma ora, adesso, lasciatemi qui. Ora, adesso, lasciate che le mie ginocchia tremino ancora per l'acqua ghiacciata.

Ora, adesso...


venerdì 20 febbraio 2015

Un'assenza è più determinante di una presenza.





Perché le persone che ci fanno del male sono più determinanti di quelle che ci fanno del bene?

Perché ci ricordiamo più di un torto subito piuttosto che di una gentilezza?
Perché cerchiamo le persone che più ci hanno fatto soffrire? Perché rimangono incastrati nei nostri cuori frammenti spigolosi dei loro ricordi, che fanno male?

Ancora oggi, dopo molto tempo a interrogare, cercare, investigare, sono qua a farmi questa domanda.
L'anno scorso, durante le lezioni di Pedagogia Generale che stavo seguendo per un esame all'Università, la professoressa pronunciò queste parole: "Talvolta un'assenza è più determinante di una presenza."

Il male ha maggior presa su di noi, più di quanto ce ne possiamo rendere conto. Ci facciamo del male, in continuazione. Eppure, il nostro istinto di sopravvivenza talvolta sembra annullarsi di fronte a certe persone che ci feriscono. Sì, perché le cerchiamo. Le vogliamo. Facciamo di tutto per avere un loro consenso. Un loro sì.
Ma perché tutto questo? Non è abbastanza per noi il senso del rifiuto che abbiamo quando ci voltano le spalle? Non è abbastanza il dolore di essere stati ingannati o derisi e sbeffeggiati? Cosa ci spinge a insistere? Orgoglio? Oppure è come diceva Fredu? Siamo davvero mossi da due forze, Eros (amore) e Tanathos (morte)?

Forse vorremo raggiungere quelle persone impossibili da avere per orgoglio o senso della conquista? Perché vorremo solo avere delle risposte e capire il perché del rifiuto? Ma che senso ha? Che senso ha?

Forse ha ragione il ragazzo con gli occhi di falco che mi veglia il sonno: dovrei volermi più bene. E così io, tutti quanti.
Se ci volessimo più bene, avremmo più rispetto di noi stessi e autostima. Partendo in questo modo, nessun commento spregevole o nessuna cattiveria ci spingerebbe così in basso da cercare il consenso altrui, soprattutto di chi ci dice spesso di non amarci.

Dovremmo imparare a prendere in considerazione più le cose positive che ci vengono dette o fatte piuttosto che le negative. E dalla positività e dal bene che ci viene rivolto costruire sopra qualcosa. Costruire sempre, ovvio, ma partendo col piede giusto.

mercoledì 11 febbraio 2015

Pensieri sparsi

La sveglia che suona. Le lenzuola spiegazzate tra le gambe. La pesantezza del piumone sulla pelle.
Contare fino a tre e alzarsi dal letto, di tutta fretta. Cercare di scaldarsi con del caffélatte bollente. Berlo vicino alla finestra della cucina. Guardare il cielo.
E' chiaro. Ah, che bello. Oggi sarà una bella giornata.
Lavarsi, scegliere un vestito da indossare. Pettinarsi. Osservare la propria faccia allo specchio e fare boccacce. E poi ridere. Che stupida.
Uscire di casa. Scendere le scale. Sentire l'aria calda dell'inverno. Aaahh... ma che bella giornata.
Camminare sul marciapiede e osservare i movimenti là, intorno.
Il volo della gazza ladra. Passanti che entrano e escono nei bar. Sguardi sfuggenti. Studenti che vanno verso l'università. Gruppi di amici. Ridono. Ah, che belli che sono. Ridono tutti.
Un lungo ponte di un bianco sporco. Da quanto tempo sarà qui.
Un fiume grigio. Il verde oppresso dal cemento. Gabbiani. Che buffi. Volano. Planano sull'acqua. Affondano la testa nel fiume. Rimangano a galleggiare, trasportati dalla corrente.
Macchine che passano, che si fermano, che sfrecciano, che procedono con calma. Una basilica dorata là, infondo.
E rido del mondo.

Eccomi. Eccomi qui, in mezzo al movimento incessante di una città che non si ferma mai. Eccomi qua. Vedo gli sguardi sfuggenti di chi mi sta intorno. Io non smetto mai di sorridere. Mai un minuto.


Eccomi. Seduta su questo letto, a fine giornata. Col mio cuore ruvido in mano. E mi domando quando. E mi domando come. E mi domando perché.
Sono ancora qui, a sognare. Sono ancora qui a sperare e a cercare di realizzare.
Io che scrivo, do in pasto a chiunque il mio debole cuore. Eccolo là, lanciato da chissà chi, in mezzo alla gabbia di leoni. Prendete quel che volete. Prendete ciò che desiderate. Squartatemi e uccidetelo questo cuore.

Vivo per raccontare del mondo che mi circonda. Vivo per raccontare di me. Che cosa dovrei mai dire? Quale parola dovrei mai intonare, se non quella che viene cantata dalla mia anima?

Ecco come passo il tempo.
Mi faccio strappare il cuore dal petto. Una volta restituito, trascorro le mie giornate regalando sorrisi al mondo. E mi munisco di ago e fili per riaggiustarlo.
Questo cuore di pezza vigilato da occhi di falco...


(Pensieri sparsi, come sempre, come non mai, come prima, come domani, come ieri, come dopo, come per sempre, come mai più.)


martedì 3 febbraio 2015

Intervento virtuale

Martedì scorso mi ha chiamata Loredana Dragoni, direttrice del Centro Antiviolenza "Nara" di Prato, per chiedermi di partecipare ad un'assemblea studentesca del liceo classico Cicognini-Rodari (liceo da me stessa frequentato) per portare il mio libro. In questo modo avremmo potuto parlare di violenza in svariati modi e, data la mia giovane età, i ragazzi si sarebbero sentiti più empatici nei miei confronti.

Purtroppo, l'assemblea sarebbe stata il venerdì dopo. A causa di svariati impegni che mi ero presa per quel giorno, non ho potuto parteciparvi.
In compenso, ho realizzato questo video che è stato trasmesso quella stessa mattina.

Ve lo lascio qui, nel caso possa essere utile a qualcuno.



E che la luce sia con voi.

mercoledì 14 gennaio 2015

Propositi per l'anno nuovo

Lo so, lo so! Sono in clamoroso ritardo per l'anno nuovo.
Come sa per chi mi conosce, sono un vulcano inarrestabile e infermabile. Prima di tutto, sono riuscita a prendere la laurea triennale esattamente il 21 novembre. E' stato un giorno bellissimo e a dir poco indimenticabile.
In secondo luogo, ho incontrato una persona che mi ha sgelato il cuore. Nonostante numerose resistenze, l'organo rosso adesso si trova sotto le ali di quei occhi di falco che ancora adesso mi spaventano un pochino... L'amore è qualcosa che ci sconvolge e ci calma, e ci fa tremare e addormentare placidamente la notte, stretti al nostro cuscino...
Ho preso un anno sabbatico. Credo di aver perso la bussola. Ne sto costruendo una nuova, una bussola del cuore.

Comunque, ecco i miei propositi per l'anno nuovo:
1. Fare un corso di scrittura e/o di teatro, di modo che possa conoscere sempre più persone all'interno dell'ambiente e possa migliorare sempre di più il mio stile narrativo e dialogico;
2. Conoscere quante più persone nuove e positive;
3. Farmi conoscere per le mie qualità;
4. Raggiungere l'agognata indipendeza;
5. Far sì che Non io, non qui abbia i giusti riconoscimenti;
6. Ricominciare l'università e prendermi la laurea magistrale.

Ce la voglio fare!